Buona fede nel franchising: 2025 in rassegna

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E’ molto frequente che gli affiliati non riescano a generare i profitti attesi. Di conseguenza, molti di loro tentano di uscire dalla rete, di rinegoziare il contratto o semplicemente di mantenere la propria attività a galla. Questo accade nonostante abbiano versato ingenti commissioni iniziali, per poi ritrovarsi di fronte all’indifferenza del franchisor. Il risultato è che numerosi accordi si rivelano sbilanciati a favore del franchisor.

Ma nel 2025 la situazione ha iniziato a cambiare. La giurisprudenza sta muovendo per migliorare le condizioni contrattuali degli affiliati.

Un affiliato di “Drain Doctor” ha rescisso il contratto dopo 15 mesi a causa di difficoltà finanziarie, trovando successivamente un’occupazione alternativa nella stessa regione e in un’attività simile. Il franchisor ha tentato di far rispettare le restrizioni post-recesso, senza però riuscirci.

Il tribunale ha evidenziato la natura squilibrata del contratto di franchising, rendendo più probabile l’invalidità delle clausole restrittive. La dinamica del “prendere o lasciare” ha avvicinato il rapporto a un modello datore di lavoro–dipendente, piuttosto che a un vero accordo commerciale. In questo caso, l’affiliato non costituiva una minaccia reale, rendendo quindi le restrizioni inapplicabili.

Successivamente, si è verificato un caso relativo a un franchising di scuole guida. Il franchisor era stato ritenuto presumibilmente abusivo e intimidatorio: vietava il controllo sulle tariffe, imponeva commissioni fisse indipendenti dal reddito, proibiva attività di marketing autonome e impediva di dedicarsi ad altre iniziative commerciali senza autorizzazione.

In questo caso, il tribunale ha stabilito che i contratti di franchising contengano un obbligo implicito di buona fede e correttezza. Ciò implica che le parti devono evitare comportamenti che persone ragionevoli e oneste considererebbero commercialmente inaccettabili o che compromettano la sostanza del contratto.

Il rapporto tra franchisor e franchisee è stato assimilato a un rapporto di lavoro subordinato, rendendo necessario il rispetto dell’obbligo di buona fede e di correttezza. Il franchisor, in tale circostanza, ha violato tale obbligo con la propria condotta.

In entrambi i casi, la corte ha precisato che ogni decisione dipende dai fatti specifici. Tuttavia, sembra che questi casi rappresentino una svolta per i franchisee, spostando gradualmente l’ago della bilancia del potere a loro favore.

I franchisor stanno passando dall’atteggiamento del “dobbiamo far rispettare questa regola” a un atteggiamento più cauto, “possiamo farla rispettare”, poiché la sua applicabilità non è più così scontata. Comportamenti commercialmente sensati, trasparenza e coerenza diventano parte integrante della tutela legale del franchisor, oltre alla rigorosa formulazione del contratto.

Nel frattempo, i franchisee si stanno unendo per affrontare i franchisor disonesti, forti dei recenti sviluppi giurisprudenziali in materia di buona fede. Sollevano le problematiche più rapidamente e agiscono in modo più strategico.

I franchisor che adottano approcci equilibrati, trasparenti ed equi otterranno risultati migliori, sia sotto il profilo legale sia sotto quello commerciale, rispetto a quelli che non lo fanno.

Uno degli elementi più importanti della rete è il contratto di franchising. Spesso è visto principalmente come uno strumento per tutelare la posizione del franchisor, ma in realtà rappresenta la spina dorsale dell’intera rete. Per questo è fondamentale rivederlo regolarmente, assicurandosi che sia il più possibile equilibrato e che rispetti il Codice Etico e gli Standard della BFA. Solo così potrà diventare uno strumento di fiducia reciproca, oltre che di protezione legale.

Allo stesso tempo, è importante applicare i contratti con moderazione. L’esercizio dei poteri contrattuali deve essere gestito con attenzione, adottando un approccio commerciale ed evitando rigidità eccessive che potrebbero generare conflitti all’interno della rete degli affiliati. Infine, non bisogna mai sottovalutare il potere della comunicazione. Il silenzio spesso genera malcontento, e il malcontento può trasformarsi in gruppi di affiliati difficili da gestire.

È fondamentale che gli affiliati adottino un atteggiamento costruttivo e orientato al business. Evitare approcci aggressivi e comunicare le proprie preoccupazioni in modo chiaro, deciso e rispettoso contribuisce a mantenere un clima positivo all’interno della rete, favorendo la collaborazione e la fiducia reciproca.

Nel mondo del franchising, la buona fede non è solo un concetto legale, ma è la base su cui si costruiscono relazioni solide e durature tra franchisor e franchisee. Quando entrambe le parti operano con trasparenza, rispetto e fiducia reciproca, l’intera rete ne trae vantaggio.

Quando i franchisee si sentono supportati, anziché controllati o sfruttati, contribuiscono a rafforzare l’intera rete. Gli sviluppi della buona fede nel contratto di franchising negli ultimi anni vanno quindi accolti favorevolmente da tutti gli operatori del settore.