Avuto riguardo a questo argomento, la massima da cui sembra opportuno partire è la seguente: “La separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio” (fra le tante, Cass. 30119/2024).
In materia di separazione e divorzio, si tratta, allo stato attuale, di una delle massime più frequenti è spesso oggetto di chiarimenti. Laddove pur nella sua apprezzabile sintesi si deve poi “sposare”, termine metaforico ma in parte opportuno datosi che si parla proprio di diritto di Famiglia, con alcune fattispecie in concreto.
Infatti, è fatto noto che i rapporti coniugali, pur potendo per certi versi sembrare simili spesso presentano una serie di declinazioni che portano a valutazioni altamente più specifiche. In termini di rilevanza dei singoli eventi o accadimenti. Giuridicamente apprezzabili se posti nella corretta prospettiva.
Compito dell’interprete del diritto pertanto è certamente quello di divulgare quanto statuito della Suprema Corte ma nel contempo cercando, attraverso una sintesi espositiva di argomentarlo, a misura degli eventi che coinvolgono (e a volte travolgono) le coppie. Nonchè le aspettative di quest’ultime.
Nel contempo evitando il mercato improduttivo di quella bilancia fatta di addebiti e recriminazioni della ragione o del torto. Cercando altresì di spiegare la scienza del diritto per contenere le prese di posizione più emotive che ragionate. A volte alimentate da quella ricercata empatia che prova a fare breccia nel convincimento del Giudicante cercando di indurre una percezione traslativa del proprio status.
Guardando quindi alla massima in commento, scevri dall’equivoco di volerla plasmare a nostro piacimento, da essa si può estrapolare anzitutto una prima verità. Tale verità è che in mancanza di addebito a carico del coniuge richiedente il contributo economico, nel solco di quanto affermato della cassazione, comporta la valutazione dei c.d. “redditi adeguati”. Ai quali quindi andrebbe rapportato l’assegno di mantenimento. Tali potendosi definire quelli necessari a conservare il tenore di vita goduto durante il matrimonio.
Questo micro paradigma rappresenta un valido punto di partenza, metaforicamente un pilastro portante della casa sulla roccia della strategia dell’interprete del diritto, perchè ci permette di fare un primo e significato passo nell’arcipelago della funzione perequativa e riorganizzativa degli istituti della separazione prima e del divorzio poi.
Sul punto pare opportuno rammentare una differenza sostanziale e anche ormai assai nota, tra la separazione ed il divorzio che consiste nella permanenza o meno del vincolo coniugale. Infatti se con lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio tale legame viene a mancare definitivamente, residuando unicamente una solidarietà post-coniugale (presupposto dell’assegno di divorzio) con la separazione invece il vincolo coniugale resta in essere. Con tutte le conseguenze sul piano degli obblighi.
Per effetto e in conseguenza, non certo a caso, si afferma correttamente che dalla separazione deriva la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, mentre resta in vita il dovere di assistenza materiale.
Riguardo il concetto di inadeguatezza dei redditi propri quest’ultimo introduce un parametro valutativo che si riferisce al tenore di vita goduto durante il matrimonio.
Nella separazione il coniuge economicamente più forte sarà tenuto a versare un contributo mensile di mantenimento, in favore del coniuge più debole. Usualmente hanno una rilevanza due fattori:
1) la mancanza di responsabilità nella rottura del sodalizio coniugale (mancato addebito al richiedente); 2) la mancanza di “adeguati redditi propri” da intendersi come le risorse necessarie a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio;
Viceversa, la natura composita dell’assegno divorzile svolge una funzione assistenziale e, nel contempo, compensativa perequativa. Pertanto, per l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi economici e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, potrebbe essere necessaria una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione di tutti i criteri equiordinati di cui al dato normativo. Essendo questi i parametri per decidere sia sull’attribuzione sia sulla quantificazione. Sul punto si registra la presenza di orientamenti diversi in larga parte risolti dall’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione del 2018.
Giova sul punto osservare che occorre tenere in debita considerazione non soltanto il raggiungimento di un grado di autosufficienza economica, ma in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare.
Motivo per cui le citate Sezioni Unite hanno fra l’altro affermato che la natura perequativo-compensativa “discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex-coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi” (Cass. 18287/2018).
Come rilevato quindi una parte fondamentale per l’applicazione dell’interpretazione secondo giustizia delle norme è riservata alle prove che concretamente dovranno fotografare la vita prima della separazione.
L’apprezzamento delle quali solleva spesso delle divergenze tra le parti in causa ed è quindi opportuno rammentare che si tratta di un’attività riservata al giudice del merito. Cui compete non solo la valutazione delle prove, ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a fondare la sua decisione (si ritiene che l’orientamento più consolidato in questo casi faccia affidamento su Cass: 16467/2017, 11511/2014, 13485/2014, 16499/2009). Questo significa anche che la Corte di legittimità qualora investita della materia valutativa si limita a controllare se i Giudici abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione dell’eventuale provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile (Cass., n. 7523/2022). Ragion per cui spesso dalla lettura dei vari capi delle decisioni di una Cassazione a tema di separazione e divorzio molti punti sollevati dai ricorrenti vengono giudicati inammissibili.
Sulla base di quanto sopra sinteticamente riportato vado a fare alcune precisazioni su argomenti abbastanza comuni:
1) Il rapporto matrimoniale si incrina per comportamenti che una parte ritiene contrari ai doveri matrimoniali deducendo una o più relazioni extraconiugali. In questo caso gli stessi devono essere provati da idonea documentazione da esibire in giudizio. Sul punto è ammissibile il dare prova (con evidenza documentale di fatti e circostanze idonee) che il rapporto matrimoniale fosse già compromesso all’epoca della relazione extraconiugale verificatasi e che quindi tali comportamenti si sarebbero inseriti in un rapporto di fatto già terminato. Mentre nulla rileva che una parte fosse a conoscenza di una o più relazioni del partner di cui non poteva non avere avuto almeno dei chiari sospetti e che avesse per effetto tollerato o accettato di convivere con siffatti comportamenti in una sorta di relazione aperta. A meno che non sussistano validi elementi di prova la tendenza è quella di giudicare più ragionevole l’ipotesi in cui la parte non abbia ceduto al sospetto se non di fronte alla certezza, avendo preferito cercare di salvaguardare il rapporto.
2) Può verificarsi una sostanzanziale equivalenza tra il patromonio dei due coniugi e tuttavia una diversa situazione reddituale. La dimostrazione contabile è un compito in tal senso riservato alla CTU Tuttavia pur possono sussistere delle diversità molto rilevanti nel reddito tale per cui ad esempio una delle due parti potrebbe non godere di una stabile fonte dello stesso o, viceversa un altra potrebbe percepire un emolumento liquido e certo tale da far presagire che il suo patrimonio incrementerà quantunque al momento sia all’incirca equivalente a quello della controparte.
3) Eventuali prestiti, riconoscimenti del debito e più in generale titoli di credito fondati su somme individuate da scritture private quantunque non contestate potrebbero successivamente comportare modifiche della separazione se a seguito della restituzione o per effetto del definitivo appropriarsi delle stesse uno dei due coniugi vedesse prodursi nella propria sfera personale un effettivo implemento sopravvenuto della situazione patrimoniale laddove l’incremento possa considerarsi, sulla base degli accordi raggiunti o imposti dal Giudice, di non scarso interesse e come tale rilevante. Ancor più poi se non è stato oggetto del procedimento che ha portato alla sentenza di divorzio.
