Separazione e divorzio: validità delle clausole patrimoniali. Riflessioni sulla loro interpretazione

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L’interpretazione degli accordi, nell’ambito della separazione e divorzio, rappresenta uno degli aspetti più importanti su cui l’esperto del diritto è chiamato spesso a confrontarsi.

Pertanto, è essenziale comprendere alcuni passaggi fondamentali sia per la redazione che per la successiva interpretazione. Giova sottolineare che le due fasi sono fra loro collegabili. Dovendosi tenere in debita considerazione l’orientamento in questo momento maggioritario della Cassazione.

Una precisa e accorta redazione degli accordi infatti si potrebbe quasi definire una simulazione delle criticità che in futuro potrebbero metterne in discussione i termini. Da un punto vista orientativo è opportuno e utile il paragone con la strategia nel gioco degli scacchi. Guardando cioè molto avanti. In modo da anticipare quelle che potrebbero essere le principali tensioni in caso di contrasto.

Per procedere ad una sintetica panoramica sul punto in diritto pare opportuno citare anzitutto la seguente massima di Cassazione 33360/2024: “Le clausole dell’accordo di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta, che riconoscono ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni, mobili o immobili, o la titolarità di altri diritti reali, ovvero operano un trasferimento a favore di uno di essi o dei figli al fine di assicurarne il mantenimento, sono valide in quanto il predetto accorto, inserito nel verbale di udienza redatto da un ausiliare del giudice e destinato a fare fede di ciò che in esso è stato attestato, assume la forma di atto pubblico ex art. 2699 c.c. E, ove implichi il trasferimento dei diritti reali immobiliari, costituisce, dopo il decreto di omologazione, valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c., purché risulti l’attestazione del cancelliere che le parti abbiano prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui all’art. 29, comma 1-bis, l. n. 52 del 1985, come introdotto dall’art. 19, comma 14, d.l. n. 78 del 2010, conv., con modificazioni, dalla l. n. 122 del 2010”.

Questo è un orientamento che si potrebbe definire come ben consolidato. Anche perché conforme alle Sezioni unite, sentenza 27 luglio 2021 n. 21761

Da un’attenta lettura si rinvengono delle concettualità già espresse nella scienza del diritto anche in altre interessanti decisioni, fra le quali merita una menzione la recente Cassazione 35508/2023 a mente della quale: “È valida ed efficace, anche in assenza di declaratoria di efficacia da parte del giudice, la pattuizione intervenuta tra i coniugi successivamente alla sentenza di divorzio, trovando essa fondamento nell’art. 1322 c.c. e nel principio di autonomia negoziale ivi stabilito e non costituendo detto accordo una lesione di diritti indisponibili; allo stesso modo, in tema di accordi conclusi in vista del divorzio, è valido il patto stipulato tra i coniugi per la disciplina della modalità di corresponsione dell’assegno di mantenimento. L’accertamento del diritto alla trascrizione di tali accordi, inoltre, può essere chiesto con un autonomo giudizio, sussistendo in capo al proprietario dell’immobile l’interesse concreto ed attuale ad agire in giudizio al fine di eliminare lo stato di incertezza giuridica pregiudizievole alla commerciabilità dell’immobile medesimo”.

Quest’ultima lettura ci permette di spostare brevemente la nostra attenzione focalizzandola sull’interpretazione del contratto. Che i Giudici ritengono, non a caso, essenziale. Argomento del resto che si può definire ormai storico. Sul quale si rinvengono numerosi saggi e preziosismi che rendono la materia particolarmente affascinante e coinvolgente.

Ai fini del presente articolo, tenuto conto degli accordi di cui trattasi, cioè in ambito di separazione e divorzio, è opportuno ricordare alcuni criteri sempre attuali ma non necessariamente fra loro armonizzabili con semplicità:

1) ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate;

2) nella comune ricostruzione della volontà delle parti, per come fatta palese dall’interprete del diritto occorre prestare altresì attenzione ai criteri di interpretazione teleologica e sistematica, oltre che letterale del testo;

3) qualora l’accordo di cui trattasi sia suddivisibile in più parti (ed è molto frequente che accada nell’ambito di questo genere di pattuizioni in materia di separazione e divorzio) lo stesso va letto nel suo insieme: non potendo il nesso condizionale tra la prima parte e la seconda essere scisso;

Pertanto, la redazione degli accordi assume un ruolo e una valenza centrale. Giacché, come ben noto, apre all’attività interpretativa che porta usualmente gli interpreti del diritto a una serie di valutazioni. Alcune saranno orientate allo scopo di mettere in discussione le tesi della difesa. Altre, per confutare quelle di parte attrice.

Tutto questo non è solamente importante per capire quali sono i criteri che orientano il Supremo collegio nell’indicare il solco e la via secondo cui si può procedere nella redazione di questi accordi onde potergli conferire l’efficacia vincolante che è tipica del diritto. Ma anche per disinnescare in anticipo le liti guardando alla possibile conflittualità del contenzioso.

Da questo punto di vista è utile studiare le controversie che approdano in Cassazione per cercare di capire i contenuti dei giudizi di primo e di secondo grado. Mi è premura di precisare che in un considerevole numero di casi, alla soccombenza di primo grado segue spesso il ricorso in appello nel quale l’appellante, guardando all’aspetto interpretativo, introduce con una discreta frequenza la natura non prettamente contrattuale dell’accordo. Finendo per correre il rischio di non non essere in grado di introdurre nuovi elementi rispetto al thema decidendum di primo grado che siano idonei a modificare il petitum o la causa petendi. Limitandosi ad offrire una diversa qualificazione di quegli elementi già indicati dalle parti in precedenza.

L’attento studio del diritto nei suoi precedenti in questa materia appare quindi importante. Perché si può estrapolare dalle soccombenze di primo grado e relativi ricorsi una sorta di macro percorso seguito da molti interpreti che ha poi trovato risposta nelle parole della Cassazione. E’ un po’ come esaminare il DNA o la storia di una concettualità del diritto che attiene all’interpretazione dei contratti guardando al contenzioso. Un metodo di studio a mio avviso efficace. Il vantaggio per lo studioso del diritto potrebbe quindi essere quello di avere da un lato la praticità della propria esperienza e dall’altro il più che probabile svolgimento di un eventuale contenzioso.

Per meglio comprendere il significato di questa indagine conoscitiva e comparativa vale la pena rammentare l’orientamento ormai storico e risalente al 1998 della Suprema Corte: “il giudice d’appello può dare al rapporto in contestazione una qualificazione giuridica diversa da quella data dal giudice di primo grado o prospettata dalle parti, avendo egli il potere dovere di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica gli atti e i fatti che formano oggetto della controversia, anche in mancanza di una specifica impugnazione e indipendentemente dalle argomentazioni delle parti, purché nell’ambito delle questioni riproposte col gravame e col limite di lasciare inalterati il “petitum” e la “causa petendi” e di non introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto”.

Di recente ribadito: “sebbene sia consentito al giudice d’appello qualificare il contratto oggetto del giudizio in modo diverso rispetto a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, tale attività gli è vietata se, per pervenire alla nuova qualificazione debba prendere in esame fatti nuovi e non dedotti dalle parti, né rilevati dal giudice di primo grado” (Cass. 10617/2012; Cass. 3893/2020)

Scopriamo quindi che questa funzione di orientamento riconosciuta ai Giudici nel loro ruolo, pur se saldamente ancorata a determinati limiti, crea i confini della narrazione che sarà poi oggetto della decisione in Cassazione e rappresenta per l’esperto del diritto la personalizzazione del caso che egli vuole imparare nell’interesse del suo Cliente allo scopo di redigere l’accordo in modo tale da poter argomentare lo stesso nella miglior difesa.

Conseguentemente, dal compendio di studio dei casi e della Cassazione si può precisare, al riguardo, che il rilievo da assegnare alla formulazione letterale utilizzata nell’accordo deve essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale. Il giudice, infatti, non può arrestarsi ad una considerazione atomistica delle singole clausole. Neppure quando la loro interpretazione possa essere compiuta, senza incertezze, sulla base del “senso letterale delle parole”, giacché per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto (vedasi Cass. n. 7927/2017, Cass. 23701/2016).

Il giudice, quindi, deve raffrontare e coordinare tra loro le varie espressioni che figurano nella dichiarazione negoziale, riconducendole ad armonica unità e concordanza (Cass. n. 2267/2018; 8876/ 2006).

Dovremmo a questo punto avere una pur se sintetica idea anche e inevitabilmente approssimativa datasi la vastità di questi argomenti che non si smetterebbe mai di approfondire in quanto rivelano sempre margini di esplorazione e interesse, di ciò che è consentito, quel che è dovuto e quanto viene disciplinato. E alla luce di questo coordinamento meritano di essere riportati due casi pratici per bocca stessa di quando statuito dalla Cassazione che meglio non potrebbe definire le fattispecie:

1) “Si è chiarito che l’accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di separazione o di divorzio, ha natura negoziale e produce effetti senza necessità di essere sottoposto neppure al giudice per l’omologazione (Cass. 24621/2015) e questa Corte ha stabilito che la soluzione dei contrasti interpretativi, tra una pattuizione “a latere” ed il contenuto di una separazione omologata o sentenza di divorzio, spetta al Giudice di merito ordinario, il quale dovrà fare ricorso ai criteri dettati dagli artt. 1362 s.s. c.c. in tema di interpretazione dei contratti. (Cass. 1324/2025)

2) “In tema di mantenimento dei figli nati da genitori non coniugati, alla luce del disposto di cu all’art.337 ter comma 4 c.c., anche un accordo negoziale intervenuto tra i genitori non coniugati e non conviventi, al fine di disciplinare le modalità di contribuzione degli stessi ai bisogni e necessità dei figli, è riconosciuto valido come espressione dell’autonomia privata e pienamente lecito nella materia, non essendovi necessità di un’omologazione o controllo giudiziale preventivo; tuttavia, avendo tale accordo ad oggetto l’adempimento di un obbligo “ex lege”, l’autonomia contrattuale delle parti assolve allo scopo solo di regolare le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta ed incontra un limite, sotto il profilo della perdurante e definitiva vincolatività fra le parti del negozio concluso, nell’effettiva corrispondenza delle pattuizioni in esso contenute all’interesse morale e materiale della prole” (Cass. 663/2022).

Avv. Marco Solferini