La responsabilità del consulente finanziario e dell’intermediario: alcune interessanti differenze per la difesa dei risparmiatori.

Home / Blog / La responsabilità del consulente finanziario e dell’intermediario: alcune interessanti differenze per la difesa dei risparmiatori.

Il difficile rapporto tra investimenti e consulente finanziario può dare origine a plurime conflittualità e addebiti da parte del Cliente nella sua veste di risparmiatore.

Urge fare chiarezza su alcuni aspetti che paiono essere molto attuali.

Il primo è la prescrizione.

Relativamente alle asserite condotte illecite del consulente è bene rammentare che si verte in un caso di responsabilità disciplinata dall’art. 31 del TUF che, come ormai noto ha natura extracontrattuale ed è quindi soggetta al termine quinquennale di prescrizione ai sensi e per gli effetti dell’art. 2947 c.c. Il termine di prescrizione decorre dalla data di rilevazione del danno, del nesso di causalità con il fatto illecito e dell’identità dell’autore dell’illecito.

Tuttavia, ed è un presupposto importante per la difesa in particolar modo se ci fossero degli elementi collocabili temporalmente in modo incerto, qualora vengano anche contestate irregolarità ascrivibili al Consulente che si sono tradotte in inadempimenti imputabili all’Intermediario resistente può risultare applicabile il termine di prescrizione decennale. E’ per esempio il caso di violazioni degli obblighi informativi, inadeguatezza degli investimenti e inattendibilità dei questionari. Tutti illeciti che sostanziano adempimenti riconducibili alla responsabilità diretta dell’Intermediario.

Non è corretto parlare di traslazione degli effetti ma più in generale di una vera e propria genetica riconducibilità a quest’ultimo con attivazione del termine più lungo.

Si tenga presente come questo sia utile per la difesa in considerazione pure del fatto che come ormai noto, l’onere della prova delle condotte asseritamente tenute dal consulente grava sul ricorrente giacché in tali casi il principio di inversione dell’onere della prova di cui all’art. 23, comma 6, TUF non trova applicazione. Più in generale sappiamo ormai bene che la prova in questione riguarda circostanze attinenti alla dinamica dei rapporti concretamente intercorsi tra clienti e personale dell’intermediario, non vertendosi in ipotesi di responsabilità diretta dell’intermediario bensì di responsabilità indiretta.

Infatti fra gli argomenti più deboli che spesso vengono sollevati con eccessiva facilità e privi di solide argomentazioni meritano una menzione:

1) eventuale falsità / apocrifia delle sottoscrizioni lamentate dal risparmiatore. La stessa non può dirsi accertata sulla base della sola prospettazione della parte. In mancanza di elementi probatori idonei a supporto. Quale potrebbe essere la perizia grafologica. Inammissibili per adesso tutte le ipotesi di certificazione tramite le Ai (Intelligenze Artificiali). L’ipotesi che possa essere accertata ictu oculi è controversa. Deve trattarsi di una falsificazione evidente.

2) False rendicontazioni. Occorrono anche in questo caso delle certificate ed elaborate evidenze probatorie che peraltro devono essere preventivamente inviate unitamente al reclamo in modo da dare la possibilità alla controparte di replicare sul punto. Si tenga presente il procedimento per ottenere copia della rendicontazione tramite apposita istanza che deve precedere questo genere di richiesta. In nessun caso una evidenza di prova anche solo a titolo di presupposizione dovrebbe essere dedotta nello stragiudiziale per via di eventuali provvedimenti disciplinari di cui sia stato destinatario il consulente. Ben potendo gli stessi riferirsi a casi diversi rispetto a quello per cui si procede. Questo pare essere un errore abbastanza comune nelle difese dei risparmiatori.

Ben diverso invece e qui si ritorna alla strategia difensiva che “allarga” il campo dell’azione sull’Intermediario (per alcune fattispecie che non solo bypassano quindi il contenuto dell’art. 23 ma anche aggiungono tempo alla prescrizione) il profilo di responsabilità dell’Intermediario che non ha versato in atti alcun elemento documentale o ne ha prodotti di insufficienti / inconferenti da cui possa desumersi che non abbia adempiuto, per tempo e modi, ai propri obblighi di informazione attiva posto che in questo caso ricade su di lui l’onere di dimostrarlo.

Come si comprende quindi sono profili di criticità che possono fortificare la posizione del risparmiatore se debitamente studiati ed elaborati. Una buona costruzione logica del caso non solo comincia, come più volte ho indicato, dalla fase di acquisizione della documentazione e passa poi dal reclamo per proseguire con soluzione di continuità nel ricorso (che devono essere inseriti nel medesimo percorso di strategia dell’Avvocato difensore). Il tutto deve portare a quelle scelte finalizzate a massimizzare l’efficacia di alcuni profili di responsabilità a discapito di altri più difficili da percorrere.

Ricordando poi che ogni volta che si rende necessario un eventuale allegato tecnico contabile, pur se nello stragiudiziale, lo stesso può rivelarsi assai utile. Anche nell’ottica di evitare l’applicazione dell’art. 112 cpc. Tale per cui pure in ipotesi in cui il risparmiatore abbia ragione se da un conteggio del quantum dovuto per un risarcimento, mettiamo a titolo di mero esempio per una operatività su plurimi fondi di investimento, azioni, prodotti del mercato valutario e altro, dovesse emergere una somma più alta di quella contestata in applicazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato la somma sarebbe inferiore.

Conclusivamente appare quindi essenziale, per il Cliente, affidarsi alla disciplinata difesa di un Avvocato esperto della materia risparmio / investimento e lato banca consultare in via preventiva l’esperto della scienza del diritto per disinnescare quelle criticità che se correttamente elaborate dal risparmiatore possono comportare la sconfitta la sconfitta dell’intermediario.

Avv. Marco Solferini.