Il secondo pilastro nell’UE: una soluzione è davvero possibile?

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Nei prossimi dodici mesi, l’Unione europea sarà chiamata ad affrontare una serie di questioni complesse legate al Secondo Pilastro, tra cui il raggiungimento, entro la fine di dicembre, dell’accordo “side-by-side” del G7 e la difesa, nel corso del 2026, delle contestazioni giuridiche relative all’attuazione del Secondo Pilastro dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
Tali questioni sono specifiche dell’ordinamento giuridico dell’UE e dovranno essere gestite in parallelo alle politiche più ampie connesse alla revisione in corso del Secondo Pilastro.
I negoziati in corso presso l’OCSE sul Secondo Pilastro si concentrano sull’attuazione dell’accordo “side-by-side” annunciato dal G7 nel giugno 2025. In base a tale accordo, i Paesi del G7 si sono impegnati a collaborare, in ambito OCSE, con le giurisdizioni che hanno già implementato il Secondo Pilastro, tra cui numerosi Stati membri dell’UE, per assicurare:
1. l’esclusione dei gruppi statunitensi dall’applicazione della regola di inclusione del reddito e della regola sugli utili sotto tassati;
2. l’adozione di meccanismi di rendicontazione semplificati per i gruppi operanti in giurisdizioni con aliquote fiscali effettive elevate;
3. l’allineamento, ai fini del Secondo Pilastro, del trattamento dei crediti d’imposta non rimborsabili basati sulla sostanza con quello dei crediti d’imposta rimborsabili.
I partecipanti ai negoziati OCSE manifestano un generale ottimismo sul raggiungimento di un accordo entro la fine di dicembre. Tale scadenza è particolarmente significativa, poiché diversi “safe harbour” dell’UE, attualmente in vigore e che tutelano i gruppi, inclusi quelli statunitensi, dall’applicazione delle imposte del Secondo Pilastro, cesseranno di applicarsi alla fine del 2025.
Anche i funzionari della Commissione europea appaiono ottimisti circa la possibilità di dare attuazione, a livello UE, a qualsiasi soluzione concordata in sede OCSE senza dover modificare la Direttiva UE sul Secondo Pilastro. Sebbene la modifica del testo della Direttiva potrebbe apparire il passo successivo più naturale una volta raggiunto un accordo con l’OCSE, la Commissione mostra scarsa propensione a riaprire il testo.
Tale cautela è motivata dall’esperienza maturata nel 2022, quando il raggiungimento di un accordo sulla Direttiva ha richiesto quasi un anno di negoziati, con numerose revisioni del testo prima di ottenere l’unanimità degli Stati membri. In particolare, l’Ungheria mantenne il proprio veto fino alle fasi finali del processo, per poi ritirarlo solo successivamente (verosimilmente anche alla luce del sostegno finanziario previsto dal Piano di ripresa dell’UE per l’Ungheria, concordato in parallelo). Una volta superato tale ostacolo, la Polonia annunciò la necessità di ulteriore tempo per esaminare la proposta, generando ulteriore frustrazione per la Commissione. Sebbene la Direttiva sia stata infine adottata all’unanimità, si tratta di un precedente che la Commissione non intende ripetere.
In alternativa alla riapertura della Direttiva, la Commissione europea propone di dare attuazione agli accordi raggiunti in sede OCSE mediante l’attuale clausola di “safe harbour” prevista dalla Direttiva stessa. Tale disposizione stabilisce che l’imposta integrativa dovuta da un gruppo in una determinata giurisdizione sia pari a zero qualora tale giurisdizione soddisfi le condizioni di un “accordo internazionale qualificato sui safe harbour”, approvato all’unanimità da tutti gli Stati membri dell’UE. Secondo la Commissione, qualsiasi accordo concluso nell’ambito dell’OCSE rientrerebbe in tale categoria. Senza modificare la Direttiva, la Commissione intenderebbe quindi chiedere agli Stati membri di approvare all’unanimità un’estensione del safe harbour dell’UE, in linea con quanto concordato presso l’OCSE.
Sebbene questa soluzione sia preferibile rispetto alla modifica formale della Direttiva, il raggiungimento dell’unanimità tra gli Stati membri presenta comunque criticità significative. In particolare, l’Estonia ha espresso la posizione secondo cui il trattamento riservato agli Stati Uniti nell’ambito dell’accordo “side-by-side” del G7 dovrebbe essere esteso anche agli Stati membri dell’UE di dimensioni minori. Più recentemente, l’Estonia ha persino proposto che tali Stati non aderiscano alla Direttiva, ovvero che la Direttiva venga sospesa o abrogata.
Anche qualora si riuscisse a ottenere un accordo unanime sull’estensione delle clausole di salvaguardia entro la fine dell’anno, resterebbe il problema dei tempi di recepimento. Gli Stati membri non disporrebbero infatti di un margine temporale sufficiente per adeguare il proprio diritto interno, con la conseguenza che le imposte del Secondo Pilastro, ai sensi della IIR e della UTPR, potrebbero continuare a maturare in base alle normative nazionali fino al 2026 o, quantomeno, i contribuenti potrebbero essere tenuti ad accantonare le relative imposte integrative nel corso del 2026, in attesa dell’aggiornamento legislativo.
Per ovviare a tale rischio, la Commissione ha prospettato un approccio innovativo: formalizzare quanto concordato ai sensi della clausola di salvaguardia sotto forma di una “comunicazione” della decisione degli Stati membri, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale dell’UE. Secondo la Commissione, tale comunicazione produrrebbe effetto diretto ai sensi del diritto dell’UE, risultando quindi vincolante per gli Stati membri e impedendo loro di riscuotere le imposte integrative del Secondo Pilastro ai sensi della IIR e dell’UTPR nelle circostanze contemplate dalla comunicazione.
Diversi strumenti del diritto dell’UE, incluse direttive e decisioni delle istituzioni, possono produrre effetti giuridici diretti negli ordinamenti nazionali, a condizione che siano sufficientemente chiari e precisi, incondizionati e tali da non richiedere ulteriori misure di attuazione, né a livello nazionale né a livello dell’UE.
Il rispetto di tali requisiti richiederà un elevato grado di rigore giuridico nel contenuto della comunicazione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Ad esempio, potrebbe non essere sufficiente una descrizione astratta delle caratteristiche di un regime “side-by-side” ammissibile, senza l’individuazione esplicita delle giurisdizioni effettivamente coperte.
Sebbene l’attuale clausola di salvaguardia della Direttiva appaia sufficientemente ampia da consentire, sul piano giuridico, l’estensione delle salvaguardie a livello UE, resta incerto se tale clausola possa essere utilizzata anche per modificare, ai fini del Secondo Pilastro, il trattamento dei crediti d’imposta non rimborsabili basati sulla sostanza.