Negoziare un accordo di distribuzione con un partner straniero: quali le principali criticita’?

Home / Blog / Negoziare un accordo di distribuzione con un partner straniero: quali le principali criticita’?

A cura dell’Avv. Stefano Linares, studio legale internazionale Linares Associates PLLC, abilitato alla professione forense nello Stato di New York, davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America a Washington DC e in Italia – 100 Park Avenue, Suite 1600, New York, NY 10017, (212) 880-6424 – Via P. Rondoni, 11, 20146 Milano, +39 (02) 422-2319 – https://linareslaw.com

In questa breve nota, proviamo ad analizzare e comprendere l’intero ciclo di vita dei rapporti di distribuzione, compresa la strutturazione e la negoziazione dell’accordo fondamentale per soddisfare i requisiti dei clienti e le normative locali applicabili, il rinnovo e la rinegoziazione degli accordi, nonché l’analisi e la gestione delle transazioni problematiche oggetto di controversia.

Quali sono alcune delle questioni chiave dal punto di vista contrattuale che le aziende spesso trascurano quando negoziano accordi di distribuzione globale?

Le clausole di esclusiva, con cui un produttore concede a un distributore il diritto esclusivo di distribuire i suoi prodotti in un determinato territorio o a un particolare gruppo di clienti, devono essere valutate con estrema attenzione. Poiché tali clausole limitano, intrinsecamente, la libera concorrenza, sono, specificamente, regolamentate dal regolamento dell’UE sull’esenzione per categoria verticale. Ad esempio, è vietato, per principio, impedire a un distributore di effettuare “vendite passive”, ovvero vendite sollecitate da clienti situati al di fuori del territorio esclusivo del distributore. Inoltre, si osserva spesso che l’esclusività non è armonizzata in modo adeguato tra le reti di distribuzione internazionali, con conseguenti rischi quali la sovrapposizione di territori o gruppi di clienti.

Negli Stati Uniti, in via estremamente generale, si può osservare come esistano comportamenti e accordi vietati di per sé, e altri, che sono proibiti, unicamente, qualora, all’esito di un’analisi, effettuati caso per caso, se ne dimostri l’intento e/o l’effetto anticoncorrenziale (sottoposti, quindi, alla rule of reason).

Tra i primi, vale la pena ricordare il fenomeno del price fixing, ovvero l’imposizione, dal fornitore al distributore, dei prezzi da praticare alla propria clientela. Nella pratica, si tenta, a volte, di raggirare tale divieto attraverso il meccanismo del “prezzo consigliato”, con la conseguenza che il fornitore, di fatto, rifiuta di utilizzare distributori, che intendano rivendere a prezzi inferiori.

Tra i secondi, si possono citare le esclusive territoriali, i patti di non concorrenza post-contrattuali, e l’applicazione di prezzi diversi ai vari distributori (quest’ultimo comportamento risulterebbe infatti, a certe condizioni, vietato dalla legge denominata “Robinson-Patman Act”).

La clausola di riserva di proprietà può costituire una forte garanzia per i produttori nei contratti di distribuzione, poiché i distributori spesso detengono scorte di prodotti del produttore, che non sono ancora stati pagati. Una volta avviata la procedura di insolvenza, la legge nazionale del paese, in cui ha sede il cliente, avrà spesso la precedenza sul contratto. Tuttavia, è possibile adottare diverse misure di protezione prima che tale procedura abbia inizio, ad esempio, richiedendo al distributore di immagazzinare i prodotti, separatamente, dagli altri, concedendo il diritto di accedere ai locali per inventariare e contrassegnare la merce, recuperando i prodotti al primo mancato pagamento o rivendicando i proventi della rivendita ricevuti dal distributore in caso di rivendita. Vale la pena sottolineare, a questo proposito, come negli Stati Uniti la legge non riconosca la validita’ del patto di riservato dominio (il venditore non puo’, quindi, ritenere alcun titolo sulla merce venduta). Proprio per evitare il rischio di trovarsi nella condizione di non poter recuperare la merce non pagata, in quanto aggredita dai creditori dell’acquirente oppure rivenduta a terzi da quest’ultimo, l’art. 1 dello Uniform Commercial Code introduce una forma di tutela, che consente al venditore di iscrivere una sorta di ipoteca su alcuni beni mobili di proprieta’ dell’acquirente attraverso la stipulazione di uno specifico accordo scritto (Security Agreement) o, eventualmente, di apposita clausola inserita nel contratto di vendita.

Le clausole di garanzia possono talvolta creare confusione tra le garanzie fornite dal distributore ai propri clienti finali e quelle fornite dal produttore al distributore, con il rischio che il produttore sia ritenuto responsabile delle garanzie nei confronti dei clienti finali. Salvo diversa decisione del produttore, le garanzie offerte dal distributore ai propri clienti non sono vincolanti per il produttore. Tuttavia, e’ buona prassi, soprattutto negli Stati Uniti, specificare nel contratto i termini e le condizioni della garanzia, che il fornitore e’ chiamato a fornire, sottolineando che il distributore non potrà prospettare alla clientela garanzie diverse o ulteriori rispetto a quelle ivi evidenziate.

Sappiamo, ad esempio, che per le vendite sul mercato francese, un “accordo scritto” obbligatorio deve essere concluso tra i produttori e i distributori ogni 1, 2 o 3 anni, entro il 28 febbraio. Tale accordo deve stabilire tutte le condizioni commerciali applicabili, nonché le disposizioni specifiche aggiuntive richieste in determinati settori, come quello agroalimentare. La mancata firma dell’accordo scritto o l’omessa inclusione delle condizioni richieste può comportare sanzioni amministrative.

Quali considerazioni in merito alle disposizioni efficaci in materia di legge applicabile e risoluzione delle controversie, compresi i meccanismi di escalation, da includere negli accordi di distribuzione globali?

La clausola relativa alla legge applicabile è una delle disposizioni essenziali in un contratto internazionale. La scelta della legge applicabile ha un impatto significativo sulla validità e l’interpretazione del contratto, e può influenzare, notevolmente, i diritti e gli obblighi in capo alle parti coinvolte. Per consentire al produttore di monitorare in modo efficiente la propria rete internazionale di distributori, è opportuno scegliere un’unica giurisdizione (e una legge applicabile). Alcuni tribunali commerciali in Europa, come in Francia e nei Paesi Bassi, hanno istituito camere internazionali specializzate come alternativa all’arbitrato. Queste camere sono composte da giudici, specificamente, formati per trattare questioni internazionali, con una conoscenza approfondita delle disposizioni in materia di commercio internazionale, una buona padronanza dell’inglese e procedure, che consentono di presentare prove in inglese e di ascoltare testimoni o esperti in inglese.

I meccanismi di escalation sono, particolarmente, utili negli accordi di distribuzione, dove possono sorgere controversie mentre le parti stanno ancora collaborando e desiderano evitare procedimenti giudiziari. Tuttavia, tali clausole devono essere redatte con attenzione (ad esempio, l’escalation ai “direttori” non è sufficientemente precisa) e il meccanismo dovrebbe includere termini, chiaramente, definiti per evitare che diventi un ostacolo all’avvio di un’azione legale. Le procedure di escalation o la mediazione non dovrebbero essere obbligatorie nei casi che richiedono un provvedimento provvisorio urgente.

Se di grande importanza sono la scelta della legge e quella del foro, non da meno è quella relativa allo strumento, con cui andranno risolte le eventuali controversie: giudizio ordinario o arbitrato internazionale. A favore dell’arbitrato internazionale vale le pena evidenziare i seguenti aspetti: la generale lentezza dei giudizi ordinari; la confidentiality non solo del procedimento, ma anche del lodo (il quale potrà essere pubblicato solo previo consenso delle parti); la maggiore attitudine degli arbitri a dirimere controversie internazionali. Nell’optare tra le due occorre analizzare preliminarmente, inoltre, l’efficacia che può avere la sentenza nello Stato della controparte. Due Stati (quello della parte nei cui confronti la sentenza deve essere eseguita e quello del giudice che l’ha emanata), infatti, possono aver sottoscritto un trattato finalizzato al reciproco riconoscimento delle sentenze: in tal caso, l’efficacia della sentenza non porrà alcuna difficoltà. L’Italia, da questo punto di vista, è carente, non essendo stati sottoscritti trattati del tipo sopra descritto, se non con pochissimi Paesi (Svizzera, Norvegia, Argentina, Brasile, Egitto e Turchia su tutti). Il riconoscimento internazionale delle le sentenze dei giudici italiani, pertanto, è scarso (in ambito comunitario il problema è superato dalla Convenzione di Bruxelles del 1968 sul riconoscimento delle sentenze commerciali).

Nella scelta tra giudizio ordinario o arbitrato internazionale può assumere rilevanza, infine, il fatto che le parti abbiano indicato quale legge applicabile al rapporto quella di un Paese terzo: in tal caso sarà conveniente scegliere, quale mezzo per la soluzione dei contenziosi, l’arbitrato. L’opportunità di tale scelta risiede nel fatto che, con l’arbitrato, la cui sede verrà fissata dalle parti nello Stato dell’ordinamento applicabile, si eviterà l’applicazione delle norme, eventualmente, più rigide in vigore in quel Paese. Inoltre, l’arbitrato puo’ risultare una scelta particolarmente indicata, soprattutto, quando si tratti di rapporti con controparti extra-europee, poiché moltissimi Paesi (ad oggi 172) hanno aderito alla Convenzione di New York del 1958 in materia di riconoscimento ed esecuzione delle sentenze arbitrali straniere.

In ultima analisi, quindi, una scelta attenta della legge applicabile e del metodo di risoluzione delle controversie è fondamentale per il successo e la durata del contratto cosi’ come per la ottimale gestione delle controversie, qualora dovessero verificarsi, sia in termini di tempi che di costi. La loro negoziazione richiede, infatti, una comprensione approfondita del diritto internazionale e una  attenta valutazione delle esigenze delle parti coinvolte.

Il panorama internazionale sembra cambiare a un ritmo senza precedenti; le aziende stanno esaminando i propri contratti per valutare l’impatto sui canali di distribuzione?

L’instabilità geopolitica rivela l’inadeguatezza di contratti, eccessivamente, lunghi e rigidi. I produttori esposti, in modo particolare, a picchi dei costi delle materie prime, interruzioni delle rotte commerciali, volatilità valutaria e aumento delle tariffe doganali necessitano di flessibilità nella definizione dei prezzi e dei programmi di consegna.

Per quanto riguarda i prezzi, la soluzione maggiormente utilizzata dai venditori è spesso l’inclusione di clausole di passaggio o di indicizzazione, che trasferiscono l’onere dei costi al cliente finale. Tuttavia, questi meccanismi richiedono che il rischio di aumenti dei costi sia identificato con precisione al momento della firma. Inoltre, si sta, attualmente, constatando come, a seguito dell’introduzione dei dazi statunitensi, queste clausole risultino molto difficili (per non dire impossibili) da negoziare.

È necessario prestare particolare attenzione alle clausole di hardship. Tali clausole si basano su circostanze, che rendono la prestazione, economicamente, non conveniente, ma comunque eseguibile. In tal caso, la parte a danno della quale si è verificato l’evento imprevedibile è legittimata a chiedere una modifica delle condizioni contrattuali. In proposito, le questioni, sulle quali sarebbe opportuno interrogarsi sono le seguenti. Quale parte beneficia della clausola di hardship e potrebbe questa essere utilizzata contro la parte che l’ha negoziata? I fattori che determinano l’applicazione della clausola di hardship riflettono i rischi reali? Qual è l’obiettivo finale della clausola: tentativo di rinegoziazione, adeguamento equo sistematico, diritto di recesso? La clausola prevede un calendario, sufficientemente, chiaro per le negoziazioni? È opportuno includere una terza parte neutrale, che decida in merito al soddisfacimento delle condizioni di difficoltà o all’“adeguamento equo del prezzo”? Anche gli esiti di qualsiasi clausola di hardship devono essere chiari per essere applicabili.

I tempi di consegna e i tempi di gestione sono, nella maggior parte dei casi, vincolanti e i ritardi comportano, generalmente, sanzioni multiple. Dato il numero crescente di ostacoli alle consegne transfrontaliere (ad esempio, conflitti regionali, dazi doganali, cambiamento delle rotte commerciali), i clienti potrebbero voler prendere in considerazione strumenti per ottenere un certo margine di manovra nei tempi di consegna, ad esempio, creando scorte di riserva, rinegoziando gli Incoterms, ampliando la definizione di forza maggiore, aggiungendo il diritto di posticipare la consegna con un certo preavviso, graduando le sanzioni o ricorrendo alle leggi, che possono regolamentare le sanzioni logistiche nel loro mercato.